Il periodo schematista (art by computer)
Il mio rapporto con l'arte comincia veramente verso la fine degli anni '80, quando conobbi casualmente Luciano Lattanzi, un pittore che aveva raggiunto la notorietà internazionale come caposcuola della corrente semantica. In quel periodo Lattanzi stava abbandonando la Pittura Semantica per confluire, unico rappresentante italiano, nello Schematismo, un vivace movimento di avanguardia francese che raccoglieva un piccolo numero di artisti stretti intorno alla rivista teorica Schéma et Schématisation di Robert Estivals. Non a caso nel dna dello Schematismo si fondevano (insieme ad altri) elementi del Lettrismo di Isidore Isou e proprio della Pittura Semantica; tuttavia lo Schematismo non era un movimento limitato al solo aspetto pittorico e il suo manifesto si estendeva ben al di là della questione artistico-estetica, sviluppando una vera e propria filosofia della comunicazione ricca di elementi innovativi.
Fino ad allora la mia attività creativa era stata limitata al disegno di qualche mobile e di qualche gioiello, alla produzione di loghi e fotografie, sullo sfondo della mia professione di matematico e statistico.
Dalle conversazioni con Lattanzi recepii l'idea che tutta la realtà fosse riducibile a un qualche tipo di schema grafico (anche se i francesi pensavano soprattutto a schematizzare fatti concreti mentre per Lattanzi erano schematizzabili anche idee, astrazioni e sentimenti). Una linea di pensiero in perfetta sintonia con la mia professione nella quale l’utilizzo di schemi grafici e diagrammi di flusso è pratica quotidiana. L’ idea che mi colpì fu quella di associare a ciò che producevo come ricercatore scientifico una valenza estetica che completasse il valore conoscitivo dello schema, esattamente come un architetto che desidera che la casa che costruisce sia anche “bella” oltre ad essere funzionale.
Gli schematisti, nonostante la loro modernità, erano comunque pittori tradizionali e come tali utilizzavano gli utensili che da sempre fanno capo a quest’arte: pennelli, spatole, colori a olio, acrilici e via dicendo. Viceversa la mia esperienza professionale affondava le sue radici nell'informatica, e così proposi al maestro Lattanzi - e poi a tutto il gruppo, attraverso pubblicazioni su Schéma et Schématisation - di integrare tra gli strumenti del pittore schematista anche l’elaborazione elettronica: non era certo la prima volta che il calcolatore (a quei tempi non si parlava ancora di personal computer) si affacciava alla finestra dell’arte, ma la computer art dell’epoca era intesa come una sorta di produzione generata autonomamente dal calcolatore a fronte di un set di istruzioni fornite dal programmatore; cioè un modo per far produrre alla macchina cose per le quali non era stata inventata, come emettere suoni più o meno armonici, disegnare sulla stampante figure strane, inviare fasci di luce in movimento sui mastodontici monitor dell’epoca. Come alternativa e allargamento di questa primitiva computer art, che relegava l’artista in un ruolo marginale, proposi una forma di art by computer, che riproponeva la centralità e l’indipendenza dell’operatore umano, il quale doveva limitarsi ad affiancare il calcolatore agli altri strumenti che l'artista aveva a disposizione, esattamente come ogni strumento in più, in un’orchestra, dilata le possibilità del compositore.
Questo felice matrimonio, che all’epoca possedeva reale valore di innovazione, tra valenza estetica dello schema e sviluppo algoritmico del suo aspetto grafico, portò tra l’altro a una piccola ma importante serie di opere, organizzate a posteriori in aree di riferimento: Schemi relazionali, Schemi economici, Metaschemi e al ciclo dei Vizi Capitali.