Qualcuno le legge davvero, le biografie (più spesso autobiografie) che compaiono sulla rete?
Credo di no, ma chiunque si presenti come artista forse non può esimersi dallo scrivere due note su di sé.
Allora vediamo almeno di essere brevi:
- non sono nato artista né ho vissuto da artista, i miei genitori non erano artisti. Non ho fatto la fame in una soffitta di Parigi (e neppure in una soffitta di Berlino o del Greenwich Village);
- non ho mai condotto una vita sregolata: a parte qualche indispensabile canna da studente (un milione di anni fa), le droghe mi sono ignote. Anche come alcolici andiamo male;
- non ho venduto i miei quadri per strada. L’unica volta, si era verso la fine degli anni ’60, un gentilissimo vigile urbano mi ha cacciato dal lungolago di Stresa: così finì la mia carriera da artista di strada;
- però talvolta ho barattato qualcuno dei miei quadri con pasti in trattoria e pacchetti di tabacco (fumare la pipa è l’unico vizio significativo che ho);
- per campare ho asservito il mio curriculum (matematica, informatica e logica formale) a chiunque volesse comprarmi, e bisogna dire che me la sono cavata abbastanza bene, non sono diventato ricco ma posso vivere in una bella casa sul lago acquistata che era un rudere e amorevolmente riportata allo stato originale (quella Villa Esperia che spesso ritorna nelle mie opere);
- tra un lavoro e l’altro, tra una notte al centro di calcolo (a quei tempi il personal computer era ancora di là da venire) e un giorno in riunione a parlare dei modelli statistici, mi dilettavo nel disegnare un po’ di tutto, dagli arredi ai gioielli ai loghi commerciali (qualche volta con soddisfazione economica). Praticavo anche la camera oscura (solo bianco e nero, il colore costava troppo);
- poi incontrai, verso l'inizio degli anni '90, il mio mentore: il maestro Lattanzi che per vivere - anche se aveva piazzato qualche quadro in importanti musei - gestiva il suo albergo di Carrara, dove capitai per caso. Lattanzi mi introdusse ai meandri e ai misteri dello Schematismo e dell'Ornamentica, io gli commissionai una litografia da regalare ai miei clienti per Natale;
- diventammo amici, divenni suo allievo, cominciai a pubblicare qualcosa sulla rivista francese in cui si davano appuntamento gli schematisti. Lui lavorava con l’acrilico, io col calcolatore (e non era cosa semplice: non c’erano gli applicativi di oggi, photoshop esisteva solo nella testa di chi lo stava concependo). Insieme andammo a Faenza tentando di rinnovare il decoro ceramico in senso schematista;
- quando nacque il sensore fotografico scoprii che potevo integrare in un’unica disciplina tre grandi passioni della mia vita: informatica, fotografia e pittura;
- da allora continuo su questa strada, sperimentando, aggiungendo strumenti al mio bagaglio di apprendista artista, stampando su superfici nuove e diverse, dirigendomi sempre più verso l’astrattismo (la pittura astratta è il mio primo amore: se voglio essere realista, la macchina fotografica fa meglio di quanto potrei fare io con tele e pennelli, ma se mi guardo dentro, o guardo dentro le cose, non vedo ritratti, nature morte o panorami, vedo figure ancora di là da venire, quelle che tento di portare alla luce prima sullo schermo di un Macintosh e poi su carta, su tela, su plexiglass e metallo, su seta);
- sono stato accusato di non avere uno stile costante, di produrre opere che invadono modi e correnti diverse: simbolismo, espressionismo, schematismo, ornamentica, perfino labirintismo. Me ne faccio un vanto, chi vuole incasellare un'opera d'arte è uno sciocco. Spesso mi concentro non sul risultato, su quello che vorrei ottenere, ma su quello che otterrò applicando un certo processo, operando con determinati strumenti; se il risultato mi piace lo tengo (e qualche volta lo vendo) altrimenti lo butto;
- come biografia mi sembra già fin troppo (se proprio uno saperne di più sul mio percorso artistico può dare un'occhiata alla noiosissima pagina successiva)